La linea d’ombra

Narrazioni e mitologie d’artista

di Pasquale Polidori

 

Quattro domeniche al Macro Asilo 

27 gennaio | 10 e 24 febbraio | 10 marzo 2019

Stanza delle parole e Sala media ore 11-20

 

a cura di Diletta Borromeo

 

Prendendo le mosse dal fulcro del romanzo di Joseph Conrad La linea d’ombra, ovvero il momento oscuro e indefinito del passaggio all’età adulta e alla consapevolezza, gli incontri ruotano attorno ad argomenti quali formazione, trasformazione, strategie di sopravvivenza, costruzione di sé, identità e mitologie, che interessano il pensiero e la creatività.

Spunto del progetto è stato il lavoro Mitologie Beuysiane (P. Polidori, 2008-2018). In esso la figura emblematica dell’artista tedesco è evocata, prima di tutto, come personificazione di una totale continuità tra esistere e creare, tra pensare e disegnare, tra esperienza e forma poetica; poi, come artista che più di ogni altro rappresenta l’estrema formulazione e la fine dell’idea romantica dell’artista ‘induttore’ di energia creativa, forza sciamanica e genio popolare; infine, come personaggio al centro di una doppia narrazione: quella che Beuys faceva di sé stesso, e quella che gli altri facevano di Beuys — divenuto, a un certo punto, e certamente al di là del suo desiderio, un ambiguo e popolare oggetto di culto, degno ad un tempo di due tipi di distacco: la devozione e l’ironia.

Nel percorso artistico di Beuys, c’è questo scambio primitivo tra esperienza e simbolo, cioè tra accadimento e linguaggio, che rimanda costantemente a un trauma fondativo: la parabola dell’incidente aereo occorso all’artista, precipitato in Crimea sul finire della Guerra, e della vita che gli fu salvata grazie all’intervento della gente del luogo, e alle cure somministrate a base di miele, grasso animale e coperte di feltro — tutti materiali che, com’è noto, entreranno a costituire il basilare lessico simbolico delle opere di Beuys, trasfigurando l’incidente in una nuova origine, ossia un’occasione di essenza e di produzione poetica.

Il disorientamento lungo il viaggio, il trauma, la perdita di coscienza, la febbre, e anche la dannazione del linguaggio e la sua riconversione, il combattimento contro i fantasmi culturali, e finalmente l’approdo (anche involontario e per via fortuita) a una nuova dimensione di crescita e consapevolezza: questi elementi portano un chiaro riferimento al racconto di Conrad, da cui gli appuntamenti al Macro Asilo prendono il nome.

Ciascun incontro, a tema, prevede interventi multidisciplinari: di tipo artistico con performance, ascolti, produzioni audiovisive, opere di diversa natura degli autori intervenuti e letture; ma anche di genere letterario e filosofico con i contributi di docenti dell’Università La Sapienza, oltre a testimonianze di operatori militanti che hanno condiviso i mutamenti dell’arte di cui sono stati essi stessi protagonisti.

RAM radioartemobile: https://www.radioartemobile.it/lalineadombra/

 

Con: Luigi Battisti, Tomaso Binga & Minima Vocalia Ensemble, Silvia Bordini, Ugo Brugnoli, Riccardo Capoferro, Primarosa Cesarini Sforza,  claudioadami, Ferruccio De Filippi, Roberto De Simone, Mauro Folci, Giuseppe Garrera, Gabriele Guerra, Frank Hornung, Francesco Impellizzeri, Andrea Lanini, Bruno Lisi, Rita Mandolini, Claudia Melica, Luca Miti, Laura Palmieri, Beatrice Peria, Mauro Piccini, Mario Pieroni, Cesare Pietroiusti, Enzo Rosato, Federica Santoro, Mariateresa Sartori, Dora Stiefelmeier, Monica Cristina Storini, Daniele Villa Zorn, Tianyi Xu, Mirc Zantor.

E con l'assistenza di:Gabriele Cippitelli, Enrico Colantoni

 

 

Linguaggio come scultura

di Diletta Borromeo

La linea d’ombra è un complesso sistema di eventi, performance, scritture, letture, relazioni, concerti e “operette inutili”, produzioni audiovisive, installazioni e lavori di diversa natura. Un’opera al plurale, nel suo insieme, cui Pasquale Polidori ha dato forma in divenire, mettendo in atto la manipolazione del linguaggio propria della sua ricerca e assecondando la sua attitudine all’interazione con l’altro, per approdare alla rappresentazione simbolica di un’idea di scultura.

Questa “scultura”, per necessità del suo stesso autore, è al contempo metafora della formazione, della costruzione e della definizione di sé come artista, un assunto che vale non soltanto per Polidori ma anche per tutti coloro i quali, come artefici, sono stati da lui chiamati a mettersi in gioco. Si tratta dunque di una riflessione sul passaggio esistenziale, si vuole sondare la frattura che determina un prima e un dopo. Si vuole insistere su La linea d’ombra raccontata nell’omonimo romanzo di Joseph Conrad come trauma, momento oscuro, indefinito e necessario, che conduce alla consapevolezza. Per questo motivo le quattro giornate ruotano intorno ad argomenti che interessano il pensiero e la creatività, quali la trasformazione, il concetto di identità, le strategie di sopravvivenza e le narrazioni d’artista.

Fulcro del progetto rimane il linguaggio, già presente nelle due figure che hanno orientato Polidori nel percorso concettuale ed esistenziale: Conrad e Joseph Beuys. Il primo, scrittore, riconosce nel romanzo citato “un sentimento d’identità” e dichiara che esso “è esperienza personale, vista in prospettiva con l’occhio della mente e colorata da quell’affetto che uno non può fare a meno di provare per gli eventi della propria vita”[1]. Il secondo è un artista che fa della parola il proprio manifesto, nei prolegomeni così come nella narrazione mitologica della sua esistenza. Un intreccio fra arte e vita basato sul racconto dell’evento traumatico di formazione — l’incidente aereo in Caucaso, che rimanda al rito di passaggio descritto da Conrad — attraverso il quale Beuys crea una forma poetica che si traduce in energia sciamanica e, al contempo, un’immagine iconica che lo rende popolare e ambiguo oggetto di culto.

La figura carismatica e l’aspetto performativo dei prolegomeni di Beuys hanno avuto un notevole ascendente sul pubblico e non deve sfuggire, ne La linea d’ombra, la presenza di eventi concepiti da Polidori che coinvolgono gli astanti e scandiscono le giornate, ossia le performance ispirate all’artista tedesco — Fragola/Terremoto. Erdbeeren/Erdbeben — e quelle dedicate agli scritti e le biografie d’artista in forma di Esercizi di lettura di gruppo e “a ostacoli”, oltre alle lezioni, le relazioni e le interviste dal vivo, di Polidori stesso e degli autori che hanno accolto l’invito a collaborare.

Polidori non elabora un semplice lavoro di raccordo fra sé e i partecipanti. Piuttosto cerca uno spazio di relazione reciproca, modulato di volta in volta all’interno delle tematiche che scaturiscono dalle poetiche altrui, con l’intento di produrre nuovi contributi che appartengano agli autori stessi così come al percorso de La linea d’ombra. L’artista invita ad entrare nel concetto di opera al plurale, che lui stesso interpreta anche tramite la comunicazione, con la produzione di fascicoli, locandine e la relativa grafica: un linguaggio sobrio ed essenziale, apparentemente mimetico ma del tutto riconoscibile formalmente come “firma” del suo operare.  

Discussioni preliminari alle realizzazioni hanno stabilito un confronto costante sul lavoro, seguendo il filo di un discorso svelato gradualmente nel suo prendere corpo. Gli autori e i relatori dei numerosissimi contributi, cui si rimanda al programma per un’esauriente narrazione, intervengono più volte, anche nella stessa giornata, talvolta in vesti differenti. Così avviene per gli accademici Claudia Melica e Gabriele Guerra, che dopo aver contribuito rispettivamente con le relazioni Libertà e rivoluzione (sul tema beuysiano nella filosofia e nella poesia di Friedrich Schiller) e La parola e l’immagine. Stefan George, poeta tedesco (in cui si analizza la figura dell’artista liturgico, sacerdote dell’arte), prendono parte attiva alle performance di Polidori ispirate a Beuys e, nel caso di Melica, anche agli Esercizi di lettura che si tengono in due occasioni insieme a Federica Santoro, Tianyi Xu e Daniele Villa Zorn. Molti, fra gli autori, accolgono la diretta collaborazione di Polidori, che si esplicita nelle loro stesse opere. Citando qualche esempio, nelle pubbliche conversazioni con Ugo Brugnoli Di me so tutto (tranne il nome) e con Mariateresa Sartori per la presentazione delle opere sonore di quest’ultima; nel colloquio registrato con Luca Miti che evolve nella performance n domande a Luca Miti, con n + 1 risposte; nel video intitolato The (more than) 7 deadly sentences of Giuseppe Garrera’s book, dove si conduce un’azione poetica utilizzando il libro di Garrera Storie di collezionismo di strada; nel far tradurre da Frank Hornung alcune poesie di Cesare Pietroiusti per una pubblicazione a stampa; nel concepire il concerto testuale di Tomaso Binga accompagnato dall’interpretazione del Minima Vocalia Ensemble; nelle interviste La strada del latte di Ferruccio De Filippi e Conferma di sensibilità di Francesco Impellizzeri; nell’uso delle voci registrate di Laura Palmieri, Enzo Rosato, Primarosa Cesarini Sforza e infine nelle stampe di ingrandimenti fotografici per i lavori di Silvia Bordini, Roberto De Simone, Mauro Folci, Mauro Piccini, Villa Zorn e Mirc Zantor, “contaminandoli” nel proprio modo di operare con il mezzo cartaceo. Altri interventi si sono invece avvicinati a Polidori indagando alcuni aspetti “intorno” alla linea d’ombra, fra cui la relazione (e il limite) fra parola e immagine, con la èkphrasis di Beatrice Peria sulla conversione di Paolo e l’analisi di Riccardo Capoferro de La linea d’ombra di Conrad, sull’attraversamento verso un’altra condizione con figure ispirate al romanzo nel cinema e nel fumetto. Il concetto di trasformazione emerge nei residui oleosi della pittura su carta di Luigi Battisti, nella relazione di Monica Cristina Storini sulle tecniche di sopravvivenza nella scrittura femminile e nelle immagini che testimoniano i passaggi compiuti nell’arte da Dora Stiefelmeier e Mario Pieroni, mentre l’idea di forma indistinta o precaria appartiene alle delicate trasparenze di Bruno Lisi, ai materiali rifiutati di Andrea Lanini in Mondo Arte e al nero magmatico che pervade il lavoro di Rita Mandolini, fino all’annullamento della parola tramite la ri-scrittura compressa che claudioadami esegue con i testi di Samuel Beckett.

“Il rapporto tra biografia e progetto di edificazione/definizione di sé come artisti/e — scrive Polidori — è uno spazio dialettico che certo inizia a delinearsi fin nel Rinascimento (...) finché solo nel secondo Novecento, la dialettica fra i due termini conquista un ruolo di assoluta centralità nelle arti visive, assumendo, quello spazio elastico, la piena valenza di un campo poetico, dove è questione di metodo operativo e di caratteri formali”[2]. Ora, possiamo affermare che lo spazio elastico tra biografia e progetto sia divenuto, per diversi artisti, una zona ibrida in cui l’arte e la vita si mescolano e a volte si sovrappongono. Se ciò è vero, la modalità operativa di Pasquale Polidori,  adottata per formazione, durante gli studi di filosofia, e per inclinazione alla comunicazione, è il linguaggio; mentre i caratteri formali coincidono con il prendere corpo in diversi generi di produzione: fascicoli e locandine curati nella grafica, collaborazioni con artisti, compositori, poeti, registi, letterati e filosofi, produzioni video, discorsi/lezioni, performance, i quali non sono altro che prodotti della medesima poetica, integrati e funzionali tra loro. Ognuno di questi prodotti – come i disegni o le lavagne e le settemila querce nell’opera di Beuys – riproduce un’effigie in grado rappresentare l’idea originaria. In questo caso si tratta di plasmare il linguaggio, a volte manipolandolo per mettere in evidenza l’ostacolo, il punto debole, l’inciampo, l’impossibilità o la difficoltà di superare il passaggio; situazioni che rimandano alla condizione esistenziale di cui la lingua stessa è parte. È così che la La linea d’ombra, “scultura” di Polidori, si completa, portando con sé l’affermazione di Ferdinand de Saussure “tout se tient”. Il cerchio si chiude con con le seguenti dichiarazioni: “ogni cosa è interconnessa. La soggettività artistica come sistema complesso. Essere e operare come medesimo valore”[3].

 

1 Joseph Conrad, Note ai miei libri, con un testo di Virginia Woolf, Lit Edizioni, Roma 2015, pp. 80, 81 (il corsivo è nel testo).

2 Pasquale Polidori, Introduzione alla giornata del 10 marzo, fascicolo per La linea d’ombra. Narrazioni e mitologie d’artista, Quattro appuntamenti la domenica al Macro Asilo, Roma 2019.

3 Pasquale Polidori, note per il progetto La linea d’ombra, Roma 2018.

 

 

La linea d’ombra, una finta ferita.

di Pasquale Polidori

Concepito come contributo alla riflessione che Giorgio de Finis ha inteso aprire, attraverso la complessa esperienza del Macro Asilo, su caratteri, modi e significati assunti nel presente da una supponibile soggettività/identità artistica, La linea d’ombra è un progetto che pone il concetto di ‘trauma’ come focus prospettico, mobile e inafferrabile, di quella identità destinata, in quanto tale, a non-essere; a non-essere, se non altro, nel senso di una pacifica stessità che coniugherebbe l’artista e la persona.

Un concetto, il ‘trauma’, che andava dispiegato in molte sue fruttuose ramificazioni, a partire da quel tra- che ci parla di separazioni e di attraversamenti, passaggi che saranno esodi interminabili fra punti tuttavia molto vicini, oppure oltrepassamenti di misura, e ritorni alla misura; le perdite di definizione, le sponde opposte, traduzioni e trasporti di ogni tipo; le trame; e certamente le trafitture, cioè infine una ferita a cui sempre un trauma rimanda. Possibilmente, però, una ‘ferita’ in assoluta libertà di metafora e di aggettivazione: la parola ‘artista’ per forza aperta, tenuta aperta per essere (e per) modo di dire, ferita allegramente disponibile a ogni cura che non curi un bel niente; ferita finta, dove la finzione è molto semplicemente il minimo prezzo di ogni linguaggio, tecnica o messa in forma, innanzitutto sociale, della figura-artista. Anziché consistere nell’impegno politico, lo specifico ruolo sociale dell’artista potrebbe essere quello di dare atto e figura alla finzione di un poter dire senza mai per questo chiudere il cerchio della propria significazione/funzione. Non serve e non vuol dire alcunché di precisabile; perciò può continuare a operare un passaggio senza termine da un lato all’altro del trauma; il questo e il non-questo a cui è appesa la figura, o la figurina, dell’artista.

Del resto, esiste persona che possa escludersi dalla finzione fondativa dell’atto di linguaggio, e pertanto sottrarsi alla inconcludibile funzionalità del proprio agire, parlare, fare? Se è no la risposta, allora ha ragione Beuys a dire: Jeder Mensch ist ein Künstler; propriamente nel senso che ogni essere umano non può essere altro che un artista, destinato ad accettare l’evidenza del proprio essere inconcludibile, benché finibile. La frase non aumenta né eleva l’umano, bensì lo tornisce sul profilo universale dell’essere-per-operare, costringendolo a una dimensione patetica che fa coincidere destino e responsabilità in uno stato di inconclusione, prima che di esclusione sociale; dovremmo qui riunire, sotto il motto di Beuys, una serie di figure che scioglierebbero, in varie parabole fra loro contrastanti e che sempre si rinnovano, il mistero dell’identità artistica: il ladro di Jean Genet, il saltimbanco di Jean Starobinski, il povero cristo di Pier Paolo Pasolini, l’impresaria circense perplessa di Alexander Kluge, il re di Ernst Kantorowicz, il dandy di Charles Baudelaire, il passeggiatore di Walter Benjamin, la creatura fiammeggiante di Jack Smith,  la pensatrice preda del flusso di Virgina Woolf, e tanti altri ritratti paradossali dell’umano al limite del suo esistere come persona, ovvero totalmente sbilanciato su un fare senza focus, estatico ed extra-soggettivo.

Così, il desiderio ambizioso di cogliere con uno sguardo questa materia essenzialmente traumatizzata, non si risolve mai in qualcosa di lineare, e non può che rimanere inappagato. L’effigie a cui tende la riflessione sulla persona-artista, è sfocata per definizione; da cui il rischio di una perdita di tempo, per vacuità (inafferrabilità) di significato. E quando uno degli artisti cruciali per la contemporaneità, Duchamp, elegge la perdita di tempo a proprio modus operandi, non fa che illuminare quella effigie di una luce cruda e definitiva. E tuttavia, la massima finzione si compie quando, proprio per Duchamp, il tempo perso si rivela essere un autentico capitale di opere senza fine: le innumerevoli azioni, respiri, mosse di gioco, appunti presi sul quaderno, ardui concetti filosofici rappresentati nel quotidiano, una fotografia molto eloquente di cui si parlerà all’infinito, un’operazione suggestiva, e le trovate stupefacenti che istupidiscono il discorso però lo rendono meravigliosamente degno di speculazione… Altro che tempo perso, per Duchamp non ci fu che lavoro, lavoro e lavoro.

Dunque, attenzione a non credere che quella sfocatura che sta al centro della incoincidenza tra persona e artista (esistenza e linguaggio) possa significare la paralisi. Al contrario, è lì che si fa strada l’agire, o il fare: il fare in ogni caso, il fare a tutti i costi, il fare a costo del non essere e del non voler dire. Il fare è la vera anima della finzione, l’andirivieni traumatico che effettua un’urgenza che non ha alcuna ragione, se non il fatto di ribadire il trauma, il passaggio, la traduzione, ottenendone una forma. A pensarci bene, il fare è anche il ronzio delle api operaie di una allucinata metafora beuysiana: l’umano-perciò-artista che si sbatte tra il miele e il fiore, in mancanza di parole per descrivere il miele e il fiore, altrimenti che con il proprio sbattersi… E la forma è il miele. E il darsi da fare per essa, è l’atto di finzione. Questo atto, nello stesso tempo, può dare fondamento a una poetica — l’operare — e alla auto-riflessione, ovvero la narrazione di sé in quanto artefici di una propria finzione fondativa — il farsi figura di sé. In questo nodo tra opera e auto-figura, di nuovo l’esempio di Beuys è centrale: in lui è tutto un trauma, tutto un passare e trasmutare, dalle materie utilizzate al modo di vestirsi, le opere in via di composizione e di scomposizione, le parole dette sempre dentro la performatività, e persino la concezione di un episodio mitico e personale, dalla quale la figura-artista-Beuys si originò dalla persona-Beuys.

Il lavoro de La linea d’ombra si è sviluppato in dialogo con Diletta Borromeo. Inizialmente, partendo da Beuys e da pochi altri artisti, alcuni anche a noi vicini, cercavamo di delineare una tipologia di atteggiamenti, più che di figure. Sulla parola ‘atteggiamento’ grava l’ipoteca di una teatralità svalutativa, che però è tutta frutto di una nostra morale ontologista, che vede nel corpo, nei gesti e nei comportamenti un qualcosa di derivato, e cioè di inessenziale. Invece, nostra intenzione comune era ribadire, nell’atteggiamento, tutta la ricchezza di significati che proviene dall’atto e dall’agire; il fare, appunto. Si intendeva sì, per atteggiamento, una finzione; ma la verissima finzione del farsi e del concepirsi partendo dal piano del linguaggio, e cioè, come si è detto, dal piano a sua volta fondato su un atto di finzione traduttiva. Atteggiamento come operatività che stabilisce e alimenta la figura di sé; perciò niente affatto inessenziale.

La domanda era ogni volta: con che tipo di atteggiamento questo/a artista risponde al trauma finzionale che gli/le sta alla radice? E le risposte non erano mai abbastanza complete, come si poteva prevedere. Si mescolavano i comportamenti in società, alle scelte poetiche; le storie della vita, alle teorie… Veniva fuori un quadro labirintico, o eccessivamente ampio per essere riassunto in quattro domeniche pomeriggio al Macro Asilo. Non ne saremmo usciti, se non fosse stato per l’intuizione di riferirsi a Conrad, ovvero a un modello deliberatamente narrativo, e allegorico senza pentimenti. Per Conrad, non solo non vale la distinzione tra atto e parola, tra esperienza e racconto; ma vi è in più la centralità generativa del trauma, a cominciare dalla ri-nascita in una nuova lingua, l’inglese, appresa tardi e come terza lingua: una lingua acquisita, non familiare; di cui si festeggia, ad ogni parola, l’estraneità parziale alla persona, la non coincidenza perfetta, la trasparente natura di forma linguistica, apertamente tale.

Finalmente, tra Beuys e Conrad, La linea d’ombra al Macro Asilo trovò una sua dimensione, forse lì per lì non decidibile, ma ricca dei vari contenuti derivati da quel doppio rimando.

Vorrei esprimere profonda gratitudine a tutti coloro che hanno partecipato, esponendosi con generosità a qualche idea di trauma.

 

 

PROGRAMMA

27 gennaio

concretezza e simbolo, luogo d’origine e luogo mitico, casa e lingua; andirivieni tra essere e posto, spostarsi, trasporre, tradurre, leggere, interpretare, impersonare; trauma/luce, conversione e sviamento di Paolo; debito e sbilanciamento, il rimosso, il sostituto, l’alias.

con: Primarosa Cesarini Sforza, Ferruccio De Filippi, Giuseppe Garrera, Frank Hornung, Claudia Melica, Luca Miti, Laura Palmieri, Beatrice Peria, Mauro Piccini, Mario Pieroni, Cesare Pietroiusti, Enzo Rosato, Federica Santoro, Mariateresa Sartori, Dora Stiefelmeier, Daniele Villa Zorn, Tianyi Xu, Mirc Zantor.

10 febbraio

notte, oscurità, attesa del possibile, inconsapevolezza, chi sa e chi non sa, sospetto e allucinazione, ribaltamento, negazione, trauma/segno, lavorare per il segno, inchiostro, liquame, attività estrattiva, carbone, senso e valore, disegno/ombra/scrittura.

con: Silvia Bordini, Ugo Brugnoli, Riccardo Capoferro, claudioadami, Roberto De Simone, Giuseppe Garrera, Andrea Lanini, Rita Mandolini, Claudia Melica, Luca Miti, Mario Pieroni, Enzo Rosato, Federica Santoro, Dora Stiefelmeier, Daniele Villa Zorn, Tianyi Xu.

24 febbraio

nome, storia, lavoro linguistico, chiamarsi/essere chiamati/e, farsi e disfarsi di sé, vocazione di Samuele – 4 chiamate di cui 3 andate a vuoto, sottrazione e moltiplicazione, rivedersi, riprovarci, frustrazione di essere, fare invece di essere, *finirsi invece di essere.

con: Luigi Battisti, Tomaso Binga & Minima Vocalia Ensemble, Silvia Bordini, Ugo Brugnoli, claudioadami, Mauro Folci, Francesco Impellizzeri, Bruno Lisi, Rita Mandolini, Luca Miti, Beatrice Peria, Cesare Pietroiusti, Mariateresa Sartori, Monica Cristina Storini.

10 marzo

‘e’, spazio/baratro della congiunzione: arte e vita, bios e zoe, polis e poesia, progetto e biografia, opera e nulla, lingua e mondo; tout se tient, dialettica infinita, intenzione, desiderio, scommessa, estinzione come soluzione dell’arte.

con: Primarosa Cesarini Sforza, Ferruccio De Filippi, Roberto De Simone, Mauro Folci, Gabriele Guerra, Andrea Lanini, Rita Mandolini, Claudia Melica, Luca Miti, Mario Pieroni, Federica Santoro, Dora Stiefelmeier, Daniele Villa Zorn, Tianyi Xu, Mirc Zantor.